giovedì 10 maggio 2012

OLTRE

Nella prima sala la mia attenzione e' andata subito alle persone coricate su dei lettini di legno, alcune con le braccia lungo il corpo altre con le dita incrociate sulla pancia, subito mi ha fatto una brutta impressione o pensato all'ospedale o i morti, sara' stato anche sentire il picchiettio come quello di un orologio, come un conto alla rovescia. Ma una cosa cosi mi sembrava troppo scontata e li o fatto caso alle pietre sotto i lettini il quarzo viola, o pensato che poteva essere una purificazione dell'anima e corpo e il picchiettio come quello di un orologio mi a fatto pensare al tempo che abbiamo per stare qui, alle esperienze che dobbiamo fare, alle occasioni che magari perdiamo per paura o semplicemente a quanto tempo e' gia passato. Le persone in piedi come dentro a una "gabbia" o come un aura di protezzione per tenere fuori le altre persone e i loro pensieri negativi, il quarzo, questa volta piu scuro, come se la protezzione partisse dalla pietra, le persone sedute con il quarzo piu' chiaro sempre sulla testa come per calmare la mente. Nella stanza del tavolino e le due sedie, e' stato bello vedere nei video, vedere la stessa espressione dell'artista, lo stesso sguardo  rilassato come in meditazione e osserva le persone che si siedono davanti a lei, alcune di loro sembrano a disagio, nervose o piangevano, probabilmente perche non capita spesso che qualcuno le guarda negli occhi per vedere realmente come stanno, cosa provano, gli occhi sono lo specchio dell'anima uno sguardo puo' dire tutto, loro sentivano che lei probabilmente riusciva a vederle, a vedere anche la loro sofferenza. Questa secondo me era la sua parte anche un po spirituale e bianca, nel piano di sopra la parte piu' scura, come un tao tutti abbiamo la parte bianca e nera dipende quale delle due ascoltiamo e se accettiamo anche la parte scura. E' stato interessante vedere l'artista, un monaco e altre due persone sedute a un tavolo rotondo, mi sono chiesta se il monaco era in una profonda meditazione, non e' difficile stare immobili se calmi la mente e porti il corpo in un profondo stato di rilassamento. Il video con i serpenti sulla testa dell'artista, erano messi come un turbante, secondo lei seguono delle linee di energia, in effetti su tanti aspetti gli animali non hanno dimenticato che non esiste solo quello che si puo' vedere e toccare. Quello che mi ha attirata in quella stanza e' stato il suo respiro, il suo viso ricoperto di cristalli, un immagine molto bella, ma i cristalli oltre alla loro bellezza hanno delle proprieta' molto particolari, per chi li usa e' anche molto utile per le energie sottili. Un attimo dopo sono stata attirata da un altro rumore, metteva un po i brividi, lei che pulisce uno scheletro, come un rito, nell'immagine accanto lo scheletro su di lei, a ogni respiro profondo voleva sentire le costole sulla sua pelle, forse respiriamo cosi solo quando dormiamo, ed e' li che siamo piu vicini alla morte, almeno del corpo.
L'acqua e' la rappresentazione Divina su questo pianeta e credo che tenere in mano un pentolino d'acqua e' vita, divinita', ma a volte viene vista come la sofferenza della vita dell'uomo, ma dell'immagine un po scura credo intendesse dire la seconda. Nell'immagine con lei e un asino sembra quasi l'intelligenza che si mette sullo stesso piano dell'ignoranza, ma o sempre pensato che e' molto brutto sottovalutare un animale, quindi credo che lei voleva osservare quel animale per vedere la realta', e' quello che non si riesce a capire per ignoranza, forse anche per questo la messo per ultimo. Giusto prima di uscire lei sospesa in aria come una strega, e dopo la vita che per me e' l'acqua la morte rappresentata da una strega.
Nei video finali l'artista parla del fatto che non e' stata capita da tutti e spesso gli fanno le stesse domande e mai quelle che secondo lei si dovrebbero fare, ma e' perche secondo me non riescono ad andare oltre come quando per entrare a vedere una sua mostra bisogna passare in mezzo a due persone nude, credo che sia un modo per dire di entrare e lasciare fuori i pregiudizi e preconcetti, una persona si deve spogliare per vedere quello che accade all'interno. 

giovedì 3 maggio 2012

ARTE O FOLLIA???



Questa è la domanda che mi sono posto da quando ho iniziato a documentarmi su Marina Abramovic. La prima cosa che ho fatto è stata vedere i video delle performance, piu' che arte mi sembrava una concorrente dello "show dei record", leggevo di azioni violente, autolesionistiche, mettersi nelle condizioni di soffrire per uno svariato numero di ore...non riuscivo a capire cosa ci potesse essere di artistico in tutto ciò.

Per me gli artisti erano solo cantanti, ballerini e attori eccelsi oppure giudicavo arte un dipinto suggestivo o una scultura imponente.

Successivamente spinto sempre piu' dalla curiosità di conoscere il motivo che spingesse Marina Abramovic a compiere azioni cosi' cruenti e spietate ho iniziato a fare ricerche sulla sua vita e a studiare le sue performance. Ho realizzato che quel folle esibizionismo in realtà era la forma piu' pura dell'arte mai vista.

Marina Abramovic ha iniziato la sua carriera negli anni '70' pioniera della performance, premiata con il Leone d'Oro alla biennale del 1997.
E' andata avanti nonostante lo scetticismo e le critiche, ed è stata fonte di ispirazione
per molti personaggi dello spettacolo!
Marina Abramovic ha spesso superato i propri limiti fisici e psicologici, ha messo in pericolo la sua incolumità, scavato nelle proprie paure e in quelle di chi la osservava, portando l'arte a contatto con l'esperienza fisica ed emotiva, mischiandola alla vita stessa.
Durante i suoi anni di esperienza ha maturato la conclusione che il pubblico ha un ruolo fondamentale nella performance.
Senza il pubblico, dice, che la performance non ha alcun senso perchè è il pubblico a completare l'opera d'arte. Si tratta appunto della Performance Art ovvero una forma artistica dove l'azione di un individuo o di un gruppo, in uno spazio e un tempo particolare costituiscono l'opera. Può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, o per una durata di tempo qualsiasi. In alcuni casi si coinvolge il pubblico per denunciare, ad esempio una situazione di degrado suscitando forti emozioni. Ed è proprio quello che ho avuto la fortuna di vedere al Pac di Milano, durante la mostra "The Abramovic Method". Le prime sensazioni che ho avvertito appena entrato sono state di un luogo sacro, quasi come una chiesa, ascoltavo il silenzio, interrotto da un ticchettio d'orologio che segnava lo scorrere del tempo. Vedevo delle persone con un camice bianco e delle cuffie sotto una struttura in legno, tipo cabina senza vetri, altre sedute, altre ancora sdraiate. Era in corso una Performance! 21 visitatori partecipano all'Abramovic Method, si privano di cellulari, orologi e ipod, indossano camici bianchi e cuffie isolanti che aiutano la conentrazione. Tutti i partecipanti sono consapevoli che staranno per trenta minuti in ciascuna delle tre posizioni : seduti, in piedi e sdraiati. Completamente in silenzio, fuori dal mondo per un'ora e mezza, in posizioni statiche che possono risultare scomode per un periodo cosi' lungo, i partecipanti in ognuna delle tre posizioni hanno alla base una roccia a base di silicio e zinco che aiuta la concentrazione e a favorire energia positiva assorbendo quella negativa del candidato. La cosa piu' interessante è stata che in quella mostra non c'erano quadri di valore da visionare o sculture da adulare, il protagonista della mostra era il pubblico stesso. Interessante sopratutto notare dalla balaustra, grazie all'utilizzo di binocoli e cannocchiali, le espressioni dei volti dei partecipanti alla performance; notare ogni loro piccolo cambiamento, ogni minima espressione del viso, fossilizzandosi sul colore degli occhi, dei capelli e della pelle. E' stata un'esperienza molto forte e mi ha aiutato a capire quanta arte c'è dietro lo studio di questi esperimenti.


Visitando le altre sale della mostra, si vedevano le proiezioni delle performance piu' famose di Marina Abramovic, alcune le avevo già viste su internet, altre invece del tutto nuove. Era molto suggestivo sentire i suoi respiri, il controllo che aveva del suo corpo, la concentrazione e tutte le energie che spendeva anche solo stando ferma con un serpente che le girava in testa! Insomma ho trovato in Marina Abramovic sicuramente una forma d'arte molto interessante, anche se l'estremizzare in questo modo, soffrire, autolesionarsi, sfidare i propri limiti psicofisici come mezzo per comunicare potrebbe sembrare parecchio drastico, però questo non lascia sicuramente impassibile lo spettatore che ne rimane affascinato e non solo...

LA RESA



LA RESA - Morris
Siamo andati a vedere la mostra di Marina Abramovic un sabato pomeriggio… tempo grigio e nuvoloso, traffico milanese del weekend, umore a terra per una discussione che ho avuto la mattina stessa con il mio compagno… una giornata come si suol dire di MERDA!
Ho preso la metro e con un umore tra l’arrabbiato e lo svogliato e mi sono recato al punto di ritrovo da dove poi saremmo partiti per raggiungere il PAC. Certo, essendoci i miei compagni e pensando che sarebbe stato meglio affrontare la mostra a mente lucida e fredda, ho cercato di farmela passare, di vedere il lato positivo della situazione, di non pensare ai miei problemi.

Faccio qualche battuta, pago il biglietto, entro e comincio con mente analitica a vedere la prima parte della mostra (uomini e donne tenuti al silenzio in diverse posizioni con gli occhi chiusi). Con mente analitica… sbaglio sempre questo punto… mi capita spesso di affrontare problemi, materialità e discussioni con la ragione che comunque mi caratterizza e, spesso di trovare le soluzioni grazie a questa… ma quando si tratta di arte non basta…
Ne ho avuto la conferma molte volte anche se non è facile aprire il cuore a comando, né accorgersi di usare solo una minima parte della nostra sensibilità, né di razionalizzare per iscritto cosa poi si ì raggiunto solo grazie al nostro lato irrazionale.
 


Questa volta è stata una performance di Marina Abramovich, che ha fatto scattare in me una molla che ha modificato la mia percezione. Questo video è quello in cui Marina si trova in piedi in cucina con una scodella piena di latte in mano.
Le gocce di latte cadono inesorabilmente dalla scodella a causa dei movimenti anche minimi delle stanche braccia della performer.
Dal punto di vista razionale possiamo analizzare il gioco di colori vestito nero e latte bianco, stanza chiara contro espressione cupa della Abramovich… ma oggi non sono qui per scrivere questo… sono qui per dire che in quel momento, mentre da solo guardavo quella performance ho capito che lei in realtà sono io… io cerco sempre di tenere in piedi il mio castello di carte, di fare al meglio tutto, di dedicarmi anima e corpo a tutto quello che faccio… eppure… il mantenimento è il risultato migliore che posso trovare… le gocce di latte non torneranno su sfidando la forza di gravità, la ciotola non si riempirà di nuovo, non ci sarà nessuno che ti dirà “Si, è abbastanza, ora puoi riposarti”…



L’unico mezzo per superare questo è la resa… non la resa nel senso di mollare, di lasciar cadere la ciotola ed i nostri sogni (questo mio messaggio non è per togliere la speranza a quelli che leggono), ma arrendersi al fatto che siamo probabilmente più forti nel momento in cui comprendiamo la nostra limitatezza ed imperfezione.. Lì inizia l’arte… nel momento in cui capiamo di non poter tornare indietro ma allo stesso tempo che l’incazzarsi con sé stessi, con la persona che amiamo, con i nostri genitori non porta da nessuna parte se non alla chiusura del nostro sentimento allontanandoci da noi stessi. La resa non è più un momento di sconforto e di autoflagellamento per gli errori passati, ma è un fatto di autocoscienza della nostra natura umana imperfetta ma incredibilmente unica diventando così l’inizio della ricerca del limite psicologico e di quello fisico (che grazie alla fatica di tenere in asse la ciotola si fondono… la stanchezza abbassa le difese della ragione ed in questo modo il cuore diventa protagonista. Esso si ferisce, sorride, cresce, soffre, gode… in una parola si mostra... Mauro Simone docet!).
Marina Abramovich in quest’opera vuole probabilmente dire questo. Questo mi ha fatto piangere: il capire quanto l’artista abbia scavato dentro sé stessa e trovato una realtà che probabilmente è comune (o comunque io trovo veramente molto) me l’ha fatta sentire vicina… come una amica che ti scruta dentro, che soffre per sé stessa e per te, che malgrado non possa risolverti i problemi ti guarda e ti dice “Hei, siamo sulla stessa barca!”

A questo proposito citerei il monologo di Valerie che emerge nel film V per Vendetta:

So che non posso in nessun modo convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi interessa. Io sono io.
Mi chiamo Valerie. Non credo che vivrò ancora a lungo e volevo raccontare a qualcuno la mia vita. Questa è l'unica autobiografia che scriverò e … Dio… mi tocca scriverla sulla carta igienica.
Sono nata a Nottingham nel 1985. Non ricordo molto dei miei primi anni, ma ricordo la pioggia.
Mia nonna aveva una fattoria a Totalbrook e mi diceva sempre che "Dio è nella pioggia".
Superai l'esame di terza media ed entrai al liceo femminile. Fu a scuola che incontrai la mia prima ragazza: si chiamava Sara. Furono i suoi polsi… erano bellissimi. Pensavo che ci saremmo amate per sempre. Ricordo che il nostro insegnante ci disse che era una fase adolescenziale, che sarebbe passata crescendo. Per Sara fu così, per me no.
Nel 2002 mi innamorai di Christina. Quell'anno confessai la verità ai miei genitori. Non avrei potuto farlo senza Chris che mi teneva la mano. Mio padre ascoltava ma non mi guardava. Mi disse di andarmene e di non tornare mai più. Mia madre non disse niente, ma io avevo detto solo la verità, ero stata così egoista? Noi svendiamo la nostra onestà molto facilmente, ma in realtà è l'unica cosa che abbiamo, è il nostro ultimo piccolo spazio… All'interno di quel centimetro siamo liberi.
Avevo sempre saputo cosa fare nella vita, e nel 2015 recitai nel mio primo film: "Le pianure di sale". Fu il ruolo più importante della mia vita, non per la mia carriera ma perché fu lì che incontrai Ruth. La prima volta che ci baciammo, capii che non avrei mai più voluto baciare altre labbra al di fuori delle sue.
Andammo a vivere insieme in un appartamentino a Londra. Lei coltivava le Scarlett Carson per me nel vaso sulla finestra e la nostra casa profumava sempre di rose. Furono gli anni più belli della mia vita.
Ma la guerra in America divorò quasi tutto e alla fine arrivò a Londra.
A quel punto non ci furono più rose… per nessuno.
Ricordo come cominciò a cambiare il significato delle parole. Parole poco comuni come "fiancheggiatore" e "risanamento" divennero spaventose, mentre cose come "Fuoco Norreno" e "Gli articoli della fedeltà" divennero potenti. Ricordo come "diverso" diventò "pericoloso". Ancora non capisco perché ci odiano così tanto.
Presero Ruth mentre faceva la spesa. Non ho mai pianto tanto in vita mia. Non passò molto tempo prima che venissero a prendere anche me.
Sembra strano che la mia vita debba finire in un posto così orribile, ma per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno.
Morirò qui… tutto di me finirà… tutto… tranne quell'ultimo centimetro… un centimetro… è piccolo, ed è fragile, ma è l'unica cosa al mondo che valga la pena di avere.
Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino… Spero che chiunque tu sia, almeno tu, possa fuggire da questo posto; spero che il mondo cambi e le cose vadano meglio ma quello che spero più di ogni altra cosa è che tu capisca cosa intendo quando dico che anche se non ti conosco, anche se non ti conoscerò mai, anche se non riderò, e non piangerò con te, e non ti bacerò, mai… io ti amo, dal più profondo del cuore… Io ti amo.

– Valerie.



A questo proposito molte altre opere che abbiamo visto si riferiscono all'autocoscenza ed alla resa (Marina distesa sul bagnasciuga che si lascia colpire dalle onde del mare, Marina nuda sotto uno scheletro e molte altre) ma ho descritto la sopraccitata perché è quella che mi ha colpito di più, quella che non mi sarei aspettato, quella in cui mi sono rispecchiato.




L'assenza di ansia, di arrabbiatura, di paura derivanti dalla resa sono la risposta per scavalcare, bruciare e distruggere i nostri limiti!

In conclusione, malgrado il suo metodo sia spesso non comune, violento, incomprensibile, Marina Abramovich è innegabilmente una grandissima performer, una ribelle del suo tempo, una perla rara nello scenario dell’ultimo secolo. Ella ha trovato la strada verso la dimensione interiore, verso il lato nascosto della mente umana e verso i limiti fisici e psichici ai quali l’uomo è sottoposto riuscendo anche mediante modi non propriamente convenzionali a fare arte di una cosa che i più sottovalutano: il proprio corpo.

 Morris Faccin

sabato 28 aprile 2012

quando l'arte va al di lá della rappresentazione, ti entra nel corpo, nelle ossa, nelle emozioni


L'esposizione al PAC di Milano della celeberrima performer Marina Abramovic mi ha colpita piú di quanto pensassi... Giá quando mi ero documentata sul suo conto ho pensato fosse una persona incredibile, ho amato il suo voler essere espressiva in un modo che andasse al di lá della rappresentazione stessa, anche se non ne comprendevo a fondo il metodo e in molte delle sue parti non lo condividevo. Invece quando sono entrata sono rimasta da subito molto colpita positivamente, ho avuto la sensazione che una forte energia mi avvolgesse, ho sentito un senso di solennitá e profonditá mentre mi trovavo nella prima sala espositiva, di fronte alle strutture designate per provare l'esperienza delle performance (Bed for human use_legno e pietra di quarzo nero, Standing Object for Human Use_rame e magneti). Mentre osservavo curiosamente le strutture ho potuto vedere un gruppo di persone che si preparava per provare l'esperienza della performance all'interno dello spazio espositivo e nel momento in cui hanno iniziato non mi sembrava niente di che... invece dopo qualche minuto dall'inizio della loro esperienza le mie sensazioni hanno iniziato a cambiare, mi sentivo molto partecipe, era come se potessi percepire le loro sensazioni, che fossero l'imbarazzo o la curiositá ad esempio, e mano a mano che restavo lí mi sentivo sempre piú immersa in quell'esperienza. Dopo qualche minuto ho lasciato la prima sala, e sono entrata nella seconda sala, semi buia, in cui vi erano delle videoproiezioni della performance The Artist Is Present (2010, durata 3 mesi). Questa sala é stata per me particolarmente interessante, al centro vi era il tavolo e le due sedie utilizzate ella performance del 2010, e le videoproiezioni rappresentavano i volti della performer, i suoi cambiamenti e le varie condizioni che ha vissuto nell'arco della performance, e cosí anche per le persone che si sono sedute di fronte a lei, i cui volti erano proiettati sul muro di fronte; a poco a poco che osservavo quei volti cresceva la mia empatia verso di loro, e anche la mia curiositá! Piú osservavo e piú immaginavo di trovarmi al loro posto, le sensazioni che avrei provato, e mi chiedevo se un'emozione potesse essere davvero cosí palpabile, solo attraverso lo sguardo o l'espressivitá del volto... Proseguendo il giro all'interno dello spazio espositivo mi sono trovata al piano superiore, dove ho potuto osservare immagini e proiezioni video delle precedenti performance messe in atto dall'artista. Trovarmi davanti a queste immagini ha avuto su di me un effetto diverso da ció che mi aspettassi; il fatto che mi fossi documentata prima di andare all'esposizione mi aveva fatto pensare che non ci avrei trovato nulla che già non avessi visto in qualche fotografia o letto in qualche pagina, invece ho potuto sentire queste sue performance ''vivere'' intorno a me, sentirmi circondata da qualcosa di piú grande e la cui profonditá ed energia non potesse essere spiegata a parola ma solo vissuta, e ho capito che é questo ció che l'arte dovrebbe essere, qualcosa che vive intorno a te e con te, non qualcosa semplicemente da osservare a distanza e con razionale distacco.

Chiara Cardini

Fluttuare. Luce. Silenzio. Sensazioni.




Mi è sembrato come entrare in un luogo sacro, in una chiesa, dove tante persone stavano pregando, dove il tempo si era fermato; c'era silenzio, concentrazione, ma allo stesso tempo vita, e mi è sembrato come poter osservare da vicino quelle persone che pregavano, poterne esaminare le espressioni, immaginare quello che pensavano o quello che non pensavano. Tutto era semplice, dai colori agli oggetti, ma allo stesso tempo non spoglio, era essenziale ma vitale. Mio padre e mia madre, che sono venuti con me a vedere la mostra, non sono gli unici ad avermi detto di aver provato una forte ansia, guardando i performer, soprattutto quelli sdraiati e seduti, mentre io ho sentito tutt'altro. Il mio era quasi un senso di pace, come se quelle persone fossero in totale meditazione e allo stesso tempo fossi in meditazione anche io osservandole. Tanto è vero che mentre mi ero soffermata a guardare i performer sdraiati non mi sono resa conto di aver superato la linea disegnata per terra, e me l'ha fatto presente una ragazza.

Come è successo la prima volta che ho letto di lei, sono uscita dalla mostra con mille pensieri che mi frullavano in testa, pensieri strani, contraddittori forse. Il mio cervello e la mia ragione mi dicevano che quella non era arte. Il mio corpo, le mie sensazioni dicevano invece che lo era, un'arte diretta allo stomaco, all'anima, che non passa attraverso i filtri il cervello. E il silenzio è forse uno dei mezzi più immediati per arrivarci, poiché il silenzio ci fa paura, non ne siamo abituati e spesso lo evitiamo poiché scava molto nel profondo. Non a caso i momenti di maggiore tensione, nel cinema, nel teatro, nella musica, sono i momenti, gli attimi di silenzio. Più di una volta mi è capitato di sentire un improvviso silenzio, e di sentirne nell'orecchio l'onda che lo investe.

La seconda parte della mostra ripercorreva alcune delle sue performance più importanti, in particolare la penultima “The Artist Is Present” al MoMa. Quando sono entrata nella sala dove erano state posizionate le due sedie ed il tavolo, ero sola e mi sono sentita come immersa anche io in quella performance, come se potessi parteciparvi. Inoltre è stato strano vedere tutti quei visi proiettati sulla parete sinistra e solo il suo sulla destra, era come se ognuno di loro fosse in quel momento artista tanto quanto la Abramovic.In una delle ultime sale della mostra era stato installato un televisore con un filmato riguardo a questa performance, con varie interviste sia a lei che a suoi collaboratori. Ciò che più mi ha sorpreso è sentire lei dire di essere nervosa prima della performance al MoMa. É stato come scoprirne l'umanità. In generale percorrendo la mostra mi sono sentita vicina a lei, osservando le persone che stavano facendo la performance mi sentivo parte di essa, parte della sua stessa arte. Probabilmente è quello che lei voleva ottenere: l'osservatore diventa l'arte che egli stesso sta osservando. Metodo ben diverso rispetto alle sue prime performace, quando arrivava e gesti estremi. Questa differenza è simbolo di un lungo percorso, di un'artista che cambia, ma senza mai scadere.

Corinna Antona

lunedì 23 aprile 2012

Behind Artist's eyes


"La mostra di Marina Abramovic" is opened...


You entry in the gallery and you feel silence and attention.The space is enought for megashow,acrobatic,big effects,colours,decorations.But there is only white colour...and it is enought.   I look up , the ceiling is so high and this big main room,where is going the performance, is full of ideas,thinking,questions and guesses.
The idea in performance was 30 minutes for each position of body:staying,laying and sitting.Then public can watch exactly details : movings, mimics, feelings, respiration, matery of clothes of these performancers.



I was dissapointed only about the performance was only one, I was waiting more, as I was watching Marina's performances in youtube, now I was waiting to watch it in real. There were a lot of videos, but nothing more "Online" escluse the one. There were a lot of shock videos,normal videos or something I didn't undestand,even If I was staying there for a long time and tried to concentrate and born some idea (It happened with the video on the kitchen,the sence of  what was completely inunderstable for me). But there was also videos I likes and I will never forget. As example I guess: How it is possibile ,that for a long time the donkey is staying at the front of Marina and doesn't move at all !!! Unbelievable.Seems she is a witch. (P.S.- with her hair and dress style+ particolar view of eyes it can be for sure)

For me this is the way the art world works, it's all about dialogue.The artist can't be present without public.And it is very interesting way ,Abramovic was working for,that at the end it is not clear who is public,who is artist!In her show she give a lot of possibilities to public to understand not only the performance, but themselves! I would just hope that when people make allegations like this, they would accept Abramovic's work,because it is actually not so easy, especially for close-mind people and people who are far from art in general.

"Il pubblico è la parte cruciale di ogni performance.La completa". - (Intervista in "Gioia,April 2012)

Abramović for her part said that she hadn't heard complaints directly from the performers:
"We've heard from a lot of people saying how happy they are to be part of it because they respect my work. They are not being used. They know that my work is about testing mental and physical limits".
Abramovic method is very particolar and some people at the first can think she is crazy SM.So it seems she is working for art people only, for a small part of generation.But I think in this "strange" or better to say special creative performances Marina Abramovic just tries to find art part and creativity in every normal person.At the end every person is a little artist in his head!

As I told at the beginning of my essay, in this Gallery with works of Abramovic, was a lot of space.Also in another (not phisical) sence- Marina always leave some space to think and create your opinion and view for everything is happening IN and OUT of show!

martedì 17 aprile 2012

MISTERO.FORZA.ENERGIA.CARISMA.CARNALITA'.CRUDEZZA.INQUIETUDINE.SPIRITUALITA'.ESIBIZIONISMO.TRASFORMAZIONE.

Nella sua lunga carriera Marina si è trovata difronte molteplici e diverse realtà socio-politiche a cui lei si è adattata o opposta, si è trasformata trasformando la sua arte. Sicuramente gli anni in cui ha iniziato a esprimere la sua arte, gli anni '70, erano tempi diversi da oggi, ma anche lei era allora diversa, e lo è ancora, diversa, da tutti gli artisti che ho fin qui conosciuto. Nell' evento al PAC di Milano iniziato il 21 marzo, il visitatore si trasforma per due ore e mezza in opera d'arte e allo stesso tempo artista. Diventa, infatti,oggettodell'azione di Marina, ma anche soggettoautore della performance. I visitatori devono rinunciare alla tecnologia e alla connessione continua e frenetica di cellulari e di social network, ma soprattutto rinunciare alla propria identità, perduta per il camice biancoche cela le forme. Scopo della sua performance: attivare ilruolo passivo dello spettatore, coinvolgerlo, lo fa vivere staticamente seduto, sdraiato e in piedi, sempre isolato da cuffie insonorizzate dall'altro pubblico, quello che rimanesolo osservatore.Materiali naturali, quali quarzo, ametista, tormalina, legno e magneti costituiscono un percorso fisico e mentale che trasforma gli spazi del PAC in un’esperienza fatta di buio e luce, assenza e presenza, percezioni spazio-temporali alterate. Un percorso dove le persone potranno espandere i propri sensi, osservare, imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi.
The Abramovic method nasce da una riflessione che Marina ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico. Il pubblico gioca un ruolo molto importante, nella performance, direi che pubblico e performer sono più che complementari, il loro coinvolgimento costituisce il completamento dell’opera, permettendo loro di vivere un’esperienza personale con la performance stessa. Per enfatizzare il ruolo ambivalente di osservatore e osservato, di attore e spettatore, Marina ha scelto di mettere alla prova il pubblico anche nell’atto apparentemente semplice dell’osservazione distante: una serie di telescopi permettono ai visitatori di osservare dal punto di vista macroscopico e microscopico coloro i quali hanno scelto di cimentarsi con le installazioni interattive. Questo metodo è nato dalla consapevolezza che l’atto performativo è in grado di operare una trasformazione profonda in chi lo produce, ma anche nel pubblico che lo osserva. Ogni volontario deve “consegnare il proprio tempo” (e quindi orologi, telefoni, smartphone…) a Marina in cambio di un attestato a fine trattamento. In un’epoca in cui il tempo è un bene davvero prezioso, ma altrettanto raro, Marina Abramovic chiede allo spettatore/attore di fermarsi e fare esperienza del “qui e ora”, di ciò che prima di tutto lo riguarda: se stesso e il modo di relazionarsi con ciò che lo circonda.


Nel resto della mostra, una selezione di opere del passato, che ne condividono gli stessi principi, consentono ai visitatori ad approfondire il “Metodo Abramovic”: Dragon Head, Nude with Skeleton,Nightsea Crossing Conjuction in coppia con Ulay fino al penultimo The Artist is Present, la performance al MoMA che ha monopolizzato l’attenzione dell’artworld newyorchese per tre mesi, rendendo l’arte performativa pop nel senso migliore del termine, un incontro/scontro tra l’artista e la massa. Nella sue passate performance, che hanno inizio negli anni '70, l'artista serba non ha risparmiato il proprio corpo per riuscire a toccare le menti altrui:s’è spogliata, s’è autoflagellata, s’è fatta puntare una freccia al cuore; ha spolpato con le proprie mani quintali di ossa bovine per la denunciapiù cruda della guerra nella ex Jugoslavia. Ha usato il suo corpo.Un corpo ormai testimone della storia. Un corpo che si dona come scambio simbolico e psicofisico. Un corpo che attiva un rapporto empatico di energia con gli altri corpi per esistere. Un corpo che col tempo ha assunto una dimensione sempre più meditativa verso la realtà contemporanea. Un corpo che ha consapevolmente trasformato la propria esperienza personale in un concetto di valenza universale. Un corpo che appartiene a un’artista complessa, irriducibile a ogni semplicistica interpretazione. Senza alcun dubbio il rapporto tra arte e vita è un elemento fondante e basilare del suo lavoro, come più volte evidenziato dalla critica. Fin da giovane lei riusciva sempre a coinvolgere la gente, provocare un giudizio, non lasciando mai nessuno indifferente per la sua capacità comunicativa e mediatica impressionante. Già gli studenti suoi compagni seguivano le sue orme perché la trovavano coraggiosa e controriformista. Che si trattasse di discorsi attorno al ruolo dell’artista (come in Art must be beautiful o nella serie Rythm), di discorsi sociopolitici (si veda Balkan Epic) oppure relativi alle dinamiche interpersonali e sociali scandagliate nelle performance insieme al compagno Ulay, Marina è sempre stata capace di mettere il proprio corpo (e i suoi limiti psicofisici) al servizio di un’idea radicale, spesso perturbante e poetica insieme.






Questa artista mi ha lasciato inizialmente sconcertata. Quello che si può vedere dalle fotografie o dai video sono la sua resistenza, la sofferenza, la fatica e il pericolo, i limiti fisici e mentali ai quali ha sottoposto la sua esistenza. Infatti non sono d'accordo con molte delle sue performance perché credo siano troppo spinte ma accolgo il suo pensiero e la sua ricerca d'arte come ragione di vita e non come bellezza. Per Marina Abramovic nulla può essere più vero di quanto si dice degli artisti veri: che fanno di vita e arte la stessa cosa. Mentre giravo per la mostra ho avuto modo di riflettere sulla mia, anche se piccola, arte e ho capito che bisogna partire da cose piccole, cose che a volte possono essere insignificanti ma che grazie all'osservazione e ad una prospettiva diversa dal normale possono assumere un valore intenso e profondo, se difese con i giusti mezzi. Soffermandomi davanti alle persone che stavano facendo la performance, ho sentito il bisogno di chiudere gli occhi e mettermi in ascolto di quello che mi circondava e ho percepito una forte energia, un po' come quella che ho sentito durante il percorso “Dialogo nel buio”, che mi ha fatto sentire viva e ha accresciuto la mia sete di arte!
Per concludere, vorrei dedicarle una canzone che mi è venuta in mente mentre aggiungevo l'ultima immagine(dove lei urla contro il suo compagno Ulay)...è come se lei gli urlasse...

GIULIA COEREZZA